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Racconto di un'edizione di CRITICALWINE

Carne macinata per l'universo con Maurizio Maggiani

25 Aprile 2011

Dopo un pomeriggio in trepidante attesa dell’arrivo dell’ospite di oggi, 25 aprile e Festa della Liberazione, Maurizio Maggiani riesce ad arrivare a Montaretto. Su un semplice palco, seduto su una semplice sedia di legno, Maurizio si avvicina al microfono e inizia la sua narrazione, o meglio, la sua perorazione, come ci tiene a chiamarla lui.

Maurizio Maggiani, scrittore commentatore e giornalista – anche se non ama definirsi tale - ha accettato di partecipare a questa edizione del Critical Wine, o meglio, a questa Festa della Liberazione, che come sottolinea “è la festa di compleanno di un paese libero, che rischia di non essere mai libero abbastanza”. Sta girando l’Italia con Tourné Risorgimentale, una “preghiera di ascolto” sul Risorgimento, in questo 150esimo anno dall’Unità d’Italia più attuale che mai. Tourné che Maggiani intitola CARNE MACINATA PER L’UNIVERSO – riprendendo il giudizio dell’intellettuale inglese Carlyle che aveva così definito Mazzini e i patrioti che fecero l’Italia.

Come scrive sul suo sito, “Ho iniziato con questo pezzo quella che chiamo la mia Tourné Risorgimentale ovverosia gli incontri con chiunque voglia ascoltarmi parlare del mio Risorgimento, di quello che non ho intenzione di farmi depredare dalle celebrazioni e commemorazioni, dai rituali e dagli anniversari. E facendolo mi sono accorto che ci sono molti più ferventi, genuini e sapienti repubblicani di quanto sarebbe lecito attendersi da questi nostri tempi così votati alla monarchia”.

 

Abbiamo scelto di raccontarvi le sue parole, sperando di essere stati il più fedeli possibile, certi di aver sicuramente dimenticato alcuni passaggi, di aver perso dei collegamenti, senza fronzoli né commenti perché non ce n’è bisogno. Non si possono descrivere le emozioni che la sua preghiera di ascolto fa scaturire, non si può disegnare il silenzio attento dei presenti sulla piazza in quel momento. Non si possono far vivere attraverso queste poche righe dimesse le sensazioni che solo la sua viva voce scatena. Ma ci proviamo, se non altro per rendere omaggio a uno dei momenti più alti di questa manifestazione.

Maurizio parla di Risorgimento. Un periodo chiave per capire l’Italia di oggi, per capire da dove veniamo, per capire dove affondano le radici del nostro paese e della nostra costituzione. E per vedere le analogie con il periodo che viviamo oggi.

Ma quanti di noi sanno cosa è stato davvero il Risorgimento? Quanti di noi sanno della bandiera tricolore, dell’inno nazionale? Parte proprio da qui,  da quell’inno musicato da due ragazzi morti a 23 anni, uno dei quali morto per difendere la Repubblica Romana. E continua la provocazione. Chi sa cosa è stata la Repubblica Romana? Ce ne siamo dimenticati. Ormai non la conosciamo più se non per quei nomi su lapidi e targhe in diverse vie delle nostre città italiane. La Repubblica Romana è il centro della sua narrazione, Repubblica durata solo 4 mesi, dal 9 febbraio al 1° luglio 1849: eppure i giornali di tutto il mondo ne parlavano.  Sconvolse le opinioni politiche e intellettuali in tutto il globo. L’Italia era chiamata il paese dei morti all’epoca. Il francese Lamartin scrisse un reportage su un suo viaggio nel Bel Paese in cui elogiava la cultura e l’arte italiane, concludendo: “Oggi l’Italia è un paese di morti, il paese più spaesato, misero, e invigliacchito d’Europa, un paese ridotto a inane polvere umana”.

Cosa succede con la Repubblica Romana? Pio IX scappa. E per la prima volta il popolo di Roma è chiamato a votare, a suffragio universale, e vota per la Repubblica romana. Siamo al 9 febbraio 1849. Nemmeno la Repubblica francese e quella americana erano state proclamate col suffragio universale! Nei quattro mesi della Repubblica Romana, che ha resistito agli eserciti napoletano, austriaco, francese e alla flotta, è stata scritta la prima Costituzione europea. Il suo articolo 1 recita così: “La sovranità risiede in eterno nel popolo. Chiunque si assuma la sovranità sopra o fuori dal popolo è un usurpatore”.

Quello è il cuore della nostra attuale Costituzione; è servita da esempio alla Costituzione di tutti gli stati moderni, Unione Sovietica e Stati Uniti compresi.

Termina il 1° luglio, quella rivoluzione fatta dai figli di nobili e borghesi, che hanno studiato e letto della rivoluzione francese, ma anche dai contadini e illetterati, con la Battaglia del Vascello: i francesi erano entrati a Roma, la capitolazione era vicina. Ma occorreva promulgare la Costituzione perché esistesse. E i ragazzi del battaglione La Sapienza morirono nel tentare di difendere la tipografia che avrebbe dovuto stampare quella Costituzione.

E la nostra bandiera tricolore? Da dove viene? Nata nel 1797 a Reggio Emilia con la Repubblica Cispadana, poi scelta da Mazzini come emblema della Giovine Italia, è legata all’idea di Repubblica, all’epoca rivoluzionaria perchè ovunque c’erano monarchie. Ha una scritta: dio è popolo. E’ il motto di Mazzini, l’uomo che costruisce la cultura politica del risorgimento, uno dei triumviri della Repubblica Romana.

Tutti quei giovani dell’epoca, molti morti giovani, altri emigrati - molti erano andati in America, sia nel nord che nel sud, la prima emigrazione italiana, non per motivi economici, bensì politici – hanno continuato fino alla fine a pensare che loro vita fosse destinata a un ideale. Come dice la canzone Camicia Rossa: “La porterò fino a Roma e a Roma cadremo insieme nella fossa perché quel che era da fare lo abbiamo fatto”.

Come Mazzini, come Garibaldi – fra gli eroi più famosi al mondo –  come Pisacane, come molti altri di cui oggi non ricordiamo più la storia.

Il risorgimento è stata una rivoluzione in cui tutti i suoi uomini e donne hanno voluto democrazia, repubblica, suffragio universale. Non li hanno mai visti, li abbiamo potuti vedere noi dopo il 25 aprile 1945. Eppure ci hanno provato per tutta la vita. Si sentivano ed erano italiani prima che esistesse l’Italia. Ma le vite di quegli uomini, le loro storie, ciò che per mente e mano loro è accaduto, la vastità di quei decenni, la tragica bellezza di quelle imprese che li hanno scanditi, sono andate perse, e nello smarrirsi della memoria si è andato perdendo il loro senso, che è il senso dell’identità e dell’appartenenza nazionale.

Maurizio conclude la sua perorazione con un collegamento diretto ai nostri giorni: “Non voglio fare retorica, ma ricordiamoci la nostra storia: io davvero credo che questo popolo ridotto a inane polvere umana abbia fatto agli occhi del mondo qualcosa di unico, Credo non sia una follia, un incomprensibile avvenimento di un secolo e mezzo fa. Questo popolo invigliacchito credo possa ancora fare una volta quello che quegli uomini chiamavano giustamente la rivoluzione degli italiani”.